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Jerome K. Jerome, Tre uomini in barca (per tacer del cane), Milano, BUR, 2007, 217 p.

Di questo romanzo mi ha parlato il mio maestro di teatro, l’attore Franco Mescolini. Nelle lunghe serate durante le quali metteva alla prova con stravaganti improvvisazioni un gruppetto di adepti, di tanto in tanto si fermava e raccontava momenti della sua vita professionale o recitava brani delle sue opere preferite.   “Tre uomini in barca”, appunto, era una di queste letture.

L’opera, pubblicata nel 1889, ottenne un clamoroso successo tanto da diventare ben presto un classico e regalò al suo autore, l’inglese Jerome Klapka Jerome, fama mondiale. Il progetto originario prevedeva la descrizione di un viaggio in barca sul Tamigi da lui realmente compiuto,  insieme agli amici George ed Harris ed al suo cane, il fox terrier Montmorency. In effetti il romanzo si inserisce nel filone della letteratura di viaggio e di essa conserva le caratteristiche principali della scrittura realistica: la plasticità dei gesti (siamo negli anni dell’invenzione del cinema), l’eleganza delle analisi del narratore e la precisione delle descrizioni. Lungo il Tamigi si alternano tranquilli scorci di campagna e ridenti cittadine; l’opera senz’altro rappresenta uno splendido documento di come fosse l’Inghilterra centrale prima che l’espansione della metropoli londinese la divorasse. Ma i viaggiatori di Jerome sono uomini comuni che hanno una famiglia ed un impiego: la loro avventura è un’epica borghese, il viaggio è il pretesto per una chiacchiera, quasi una fuga dalla realtà quotidiana. E così il ritratto del fiume e delle sue meraviglie finisce per rappresentare solo un pretesto per innumerevoli divagazioni: con una tecnica che gli antichi avrebbero definito ékphrasis, l’autore si discosta dal resoconto cronachistico delle tappe del percorso, delle difficoltà del viaggio in barca, delle bellezze del paesaggio, per lasciarsi trasportare dall’onda del ricordo e narrare esilaranti episodi. L’opera perde quindi i tratti della guida turistica per acquisire il tono di una brillante ed ironica commedia e ciò non stupisce considerati i trascorsi teatrali del suo autore.

Tutti i personaggi, legati da un’amicizia puerile e spesso insolente, presentano una loro specifica e realistica caratterizzazione: Jerome, protagonista e voce narrante, è un lucido organizzatore, ossessionato dalle malattie, amante dei cibi pesanti e della birra; George, instancabile lavoratore, «va a dormire in una banca tutti i giorni dalle 10 alle 16, tranne il sabato quando lo cacciano fuori alle 14»; Harris, a suo dire il più esperto del gruppo, il più delle volte si limita ad impartire ordini, ma in compenso è «capace di rimediare ovunque un goccetto di scotch»; infine il cane Montmorency, di cui Jerome non manca di riferire il salomonico parere su molte questioni, si reputa troppo buono per questo mondo.

Grazie all’osservazione fine dei più semplici incidenti quotidiani e al linguaggio arguto e intelligente dell’autore, la comicità traspare in ogni pagina, una comicità genuina che scaturisce dall’imprevedibilità delle situazioni e dalla leggerezza con cui i protagonisti filosofeggiano sul lavoro e sulla vita:  «Amo il lavoro; mi affascina. Posso star seduto a guardarlo»; «di norma sul fiume il vento è sfavorevole da qualunque parte si vada», etc… Il lettore si ritrova a godere di un misterioso occulto riso solitario che si appaga della pagina scritta, a scoprire che la realtà è spesso ridicola e  scomoda, ma che dopo tutto si può anche sopravvivere alla propria nascita, purché si abbia un certo spirito di adattamento, e la capacità di ridere dei trucioli del proprio destino (G. Manganelli, Introduzione a Tre uomini a zonzo, BUR).

Tra le scene più divertenti si può citare il racconto delle capacità artistiche di George  nel suonare il banjio, a cui è collegato l’episodio del ragazzo che suona la zampogna, la storia dello zio Podger alle prese con un quadro da appendere, la battaglia con la scatoletta di ananas, etc…

Lo stile è fluido, prevalentemente paratattico, ma non banale perché si presta al tema e all’andamento da commedia; la lettura è ulteriormente semplificata dal fatto che all’inizio di ogni capitolo c’è un sintetico indice degli episodi che via via sono raccontati. Inoltre l’opera si presta anche ad una lettura non continuativa perché  ciascun capitolo ha in qualche modo una sua autonomia, rappresentando una  saga del viaggio.  Frequenti i dialoghi che costituiscono il nucleo della comicità del racconto.

Consiglio questo romanzo ai ragazzi del biennio e a chiunque non lo avesse già letto.

La nostra biblioteca ne possiede una copia con questa collocazione APERTA 823.912 JEROJK. Vi informo inoltre che è presente anche un’altra opera di Jerome, Tre uomini a zonzo (collocaz.: APERTA 823.8 JEROJK), che racconta un viaggio in bici dei tre amici attraverso la foresta nera in Germania: alcuni capitoli sono imperdibili, ma nel complesso è meno convincente di Tre uomini in barca.   Entrambi i romanzi sono stati acquistati dal nostro Liceo nella collana BUR, presentano delle buone introduzioni e sono corredati dalle illustrazioni della prima edizione.

LC

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